lunedì 16 marzo 2015

"Amatevi l'un l'altro, ma dell'amore non fatene un vincolo"

Un caro amico mi ha chiesto di recitare una preghiera o una poesia al suo matrimonio in chiesa.
Sorpreso dalla proposta inaspettata anche perché la richiesta veniva da una persona che ben conosce la mie tendenze agnostiche e scettiche anche sulla religione e sull'istituto del matrimonio.
Ho brancolato nel buio alla ricerca di un testo che fosse abbastanza laico da non farmi sentire venduto ai clericali recitando una testo liturgico ma, al contempo, con un quid spirituale e profondo, all'altezza dell'evento, impregnato di significato per la vita di chi ci crede. 
Uno scorcio di luce quando ho ricordato di aver letto, qualche anno addietro, quando ancora avevo un mio percorso di letture, Kahlil Gibran con il suo "Il Profeta".
 
E così, per una volta, ho trovato quello che stavo cercando:
"Allora Almitra di nuovo chiese: Che ne pensi del Matrimonio, Maestro?
Ed egli rispose:
 
Siete nati insieme, e insieme sarete per sempre.
Voi sarete insieme quando le bianche ali della morte disperderanno i vostri giorni.
Sì, sarete insieme persino nella silenziosa memoria di Dio.
Ma lasciate che vi siano spazi nel vostro stare insieme.
E lasciate che i venti del cielo danzino tra voi.
 
Amatevi l'un l'altro, ma dell'amore non fatene un vincolo: lasciate piuttosto che vi sia un mare in movimento tra le sponde delle vostre anime.

Riempitevi reciprocamente la coppa, ma non bevete da una singola coppa.
Datevi l'un l'altro un po' del vostro pane, ma non mangiate dalla stessa pagnotta.
 
Cantate e danzate insieme e siate gioiosi, ma fate che ognuno di voi possa star solo,
come sole sono le corde del liuto sebbene vibrino della stessa musica.
 
Datevi il cuore, ma non per trattenervelo l'un l'altro.
Poiché solo la mano della Vita può contenere il vostro cuore.
 
E reggetevi insieme, senza però stare troppo vicini.
 
Perché le colonne del tempio sono collocate a una certa distanza,
e la quercia e il cipresso non crescono l'uno all'ombra dell'altro".
 
(testo tratto da Kahlil Gibran, "Il Profeta", Feltrinelli, 2009, trad. di Giovanna Francesca Brambilla)

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